L’idea è nata dalla nostalgia. Mi trovavo a Barcellona in Erasmus e stavo fantasticando di un bel viaggio tra i monti e ho pensato: chi farebbe volentieri un giro del genere? Poco dopo ho chiamato Alessandra: 10 minuti di chiacchiere e avevamo già deciso che quell’estate avremmo fatto la parte centrale della “Via Alpina” (la traversata dell’arco alpino che collega la Francia alla Slovenia). Non sapevamo come organizzarci, ma ci avremmo pensato poco a poco.
Sei mesi più tardi siamo partite da Trento e dopo 6 ore di treno eravamo nella piazza di Issime, in Val d’Aosta, pronte per tornare a Trento! Direzione: est. Letteralmente verso est, perché non avevamo una chiara idea di dove fossimo, ma eravamo sicure che Trento fosse a est. E così ci siamo incamminate.
I primi giorni sono stati abbastanza duri, gli zaini erano pesanti (circa 16 kg) e temevamo di aver sopravvalutato le nostre spalle. Nello zaino, oltre al necessario per il trekking, c’era anche lo stretto indispensabile per fare fisioterapia respiratoria e una gran quantità di Creon, vitamine, antibiotici ecc. Ma un passo alla volta, ogni sera eravamo un po’ più avanti e il volume di medicine diminuiva. In 5 giorni eravamo ai piedi del Monte Rosa, circondate da giganti imbiancati e accompagnate da stambecchi e marmotte.
Man mano i giorni passavano e, dopo aver attraversato la selvaggia valle Antrona siamo arrivate al Sempione, per la prima volta in Svizzera. Era il 10° giorno, avevamo già rotto 2 bastoncini e i nostri piedi erano pieni di vesciche.
A questo punto avevamo la nostra routine. Ogni ora di camminata facevamo una pausa per passare la tenda da uno zaino all’altro e dividerci il peso. Era il momento ideale per un po’ di riposo e mangiare qualcosa. La sera poi montavamo la tenda e, mentre aspettavamo che l’ennesimo risotto in busta liofilizzata si cucinasse, giocavamo a carte, leggevamo o strimpellavamo qualche canzone. Spesso mi sarei dimenticata (o avrei preferito saltare) le terapie e le varie medicine, ma Ale in questo mi ha sempre aiutata e anche sgridata quando necessario.
Attraversando la Binntal e l’Alpe Devero siamo arrivate nella Val Formazza con i suoi verdi altopiani prima di tornare di nuovo in Svizzera, passando sotto il ghiacciaio del Basòdino. In questi magnifici ambienti c’eravamo noi con gli zaini enormi, gli ukulele, le mutande e i calzini oscillanti appesi ad asciugare. Ogni tanto, causa temporali, ci è toccato dormire sotto a qualche tettoia per evitarli. Altre volte invece il temporale ci ha colte di sorpresa nella notte in quota, e, non potendo fare altro, speravamo di non essere colpite da un fulmine.
I giorni seguenti sono stati i più faticosi a causa dei grandi dislivelli sia in salita che in discesa. C’era molta afa e avevamo molta sete. Nonostante avessimo due litri di acqua a testa, spesso ci trovavamo a bere l’acqua da ruscelli e laghetti. Ancora mi chiedo come sia possibile che non abbiamo preso qualche strano batterio.
Per il cibo invece facevamo il pieno nei paesini ogni 5-6 giorni. A volte non trovavamo le buste liofilizzate o le bombole di gas per il fornelletto e ci toccava scendere più in valle verso paesi più grandi. E in questi casi facevamo autostop.
Attraversare il Canton Ticino è stata la parte più dura del percorso, ma ci ha riservato delle sorprese. Sopra Biasca si trova Capanna Cava, dove siamo arrivate la sera del 21° giorno e siamo state accolte per qualche giorno come in famiglia dai meravigliosi gestori. Siamo ripartite – con lo stomaco più pieno del solito e il cuore riscaldato dalle nuove amicizie – in direzione nord-est, ritornando in Italia a Madesimo.
Sotto una serie di temporali siamo arrivate al bivacco Pian del Nido. Dopo aver provato invano a far asciugare i nostri zaini e il contenuto ci siamo incamminate. Dovevamo fare abbastanza pena, perché un pastore che passava con il furgoncino si è offerto di darci un passaggio. Abbiamo cercato di spiegargli dove eravamo dirette, ma è evidente che neanche noi lo sapevamo bene, perché il pastore ci ha portate quasi in Liechtenstein. A quel punto era chiaro che avere delle cartine sarebbe stato utile! Affidandoci al buon vecchio autostop siamo arrivate in giornata a Maloja, che sarebbe stata la meta effettiva della tappa. Là abbiamo piantato la tenda, per la prima volta in maniera non abusiva, in un campeggio.
Il giorno dopo abbiamo attraversato l’Engadina in direzione Piz Languard. Nei pressi di Capanna Paradis abbiamo deciso di trascorrere l’ultima notte in Svizzera sotto le stelle. Può sembrare una scelta da romantici, ma era dettata dal fatto che era vietato piantare la tenda e ci piaceva il panorama. E poi finalmente non pioveva!
Alla Forcola di Livigno abbiamo salutato la Svizzera e siamo entrate in Italia. Ci siamo dirette verso il Passo dello Stelvio, dove ci è venuto incontro mio fratello Lorenzo con una borsa piena di merendine e cibo vario. Con una birra e un panino abbiamo brindato alla fine della traversata ufficiale: da qui in poi il rientro a Trento era tutto da inventare. Nello zaino il volume di medicine si era notevolmente ridotto, ma avevo ancora un’autonomia di 7 giorni. Era un peccato tornare già a casa!
In autostop e camminando siamo arrivate in Brenta, dove avevamo degli amici in rifugio da salutare. Quando poi incontravamo casualmente conoscenti lungo i sentieri abbiamo capito che eravamo effettivamente ritornate tra i nostri monti. E così siamo arrivate a Trento, meta finale del viaggio. Erano passati 35 giorni, circa 500 km, 12 temporali, 3 docce, 53 birre e 35 fette di torta (più qualche kg di Creon) da quanto eravamo partite.
Questo viaggio è stato una delle esperienze più belle della mia vita. La malattia ha reso le cose più complicate, ma non impossibili. Basta il compagno di viaggio giusto: con Ale abbiamo imparato a prenderci cura l’una dell’altra, ed è stato il sapere di poter contare su questo che ci ha permesso di andare avanti (in direzione est 🙂 ).